Il discorso del SINDACO per l’inaugurazione della SEDE DEGLI ALPINI

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Un caro saluto ed un grazie a tutti per la presenza così numerosa che onora il Gruppo Alpini di Bioglio, il glorioso corpo degli Aplini e il nostro paese che si arricchisce di un gioiello frutto di sacrificio, volontariato e generosità individuali e collettive. Lascio volentieri ad altri raccontare un’opera che ho visto progettare, nascere, crescere e concludersi in questa forma che potete ammirare e che tra un attimo potrà accogliervi e mostrarsi anche al suo interno. Arrivo da un periodo in cui ho parlato spesso per ragioni istituzionali per ricorrenze festose, o per salutare amici che hanno fatto il grande salto verso l’eternità, consentitemi allora il ricordo di chi avrebbe tanto voluto essere qui oggi: Piero Rey, possa lui scrivere un’altra poesia su questa giornata dall’immensità del cielo. Amministrare la cosa pubblica significa certo affrontare il problema dei parcheggi, delle fogne, degli acquedotti, dei servizi. Tutte robe importanti ma per le quali non serve un amministratore, basta un ragioniere. Amministrare, per me, significa costruire, alimentare, sostenere il senso della Comunità, una roba che non si può comprare, non si può mettere a bilancio, ma che si costruisce con fatica, nel dialogo, nel concorso delle intelligenze e delle sensibilità, nella riscoperta di un civismo “offerto” e non di un civismo “ostentato”. Allora chiedo scusa agli amici alpini se vi invito tutti a guardare “oltre”. Lo faccio senza paura di essere criticato o di non essere compreso, lo faccio obbedendo alla mia coscienza che viene prima dell’opportunismo. Se oggi ci fermassimo a guardare questa facciata celebreremmo, ed è giusto farlo, un’opera e chi l’ha realizzata perdendo l’occasione di guardare lo sfondo e l’orizzonte. Sullo sfondo c’è il nostro campanile simbolo del nostro paese. Quest’opera deve richiamarci tutti ad un protagonismo “per”. Se quest’opera c’è dobbiamo essere capaci anche di leggere i tempi, comprendere che è finito il tempo delle deleghe, il tempo del “tocca ad altri”, l’era del “siccome pago le tasse allora mi è dovuto tutto”. Dobbiamo avere la saggezza della comprensione che il protagonismo che oggi viene richiesto non è solo quello di un’associazione benemerita, della Chiesa o quello dovuto da chi amministra ma che tutti siamo chiamati a cooperare per il bene comune. Ciascuno per quanto è capace e può: sopportando il vicino senza trasformare ogni malinteso in una guerra civile, tagliando l’erba davanti a casa mia perché la strada sarà anche della Provincia ma la casa rimane la mia, operando sui crinali aspri e sdrucciolevoli della solidarietà, avendo il coraggio di sporcarsi mani e faccia nella gestione della cosa pubblica. C’è un versante sociale che ci interpella urgentemente e ci chiede di uscire dai recinti comodi degli interessi per guardare al bene comune. E poi c’è l’orizzonte, quello vicino dei paesi che ci circondano e che questa sede accoglie: Ternengo e Valle San Nicolao ma anche degli altri paesi che si affacciano su questa conca. Questi orizzonti ci invitano ad una più generosa, solidale, concreta collaborazione superando anacronistici campanilismi e reciproci avvilenti ostracismi. Questa sede offre anhce uno sguardo che spazia su un orizzonte più ampio e che ci interpella. Non è né tempo né luogo per affrontare temi che non riguardano ciò che oggi celebriamo, ma se costruiamo da soli una casa per gli uomini allora è tempo che ogni uomo ne abbia una! Se costruiamo un luogo che accolga gli uomini allora è tempo che ogni uomo possa essere accolto! Se costruiamo “insieme” condividendo fatiche, paure, delusioni, incertezze, inquietudini allora è tempo che tutti gli impauriti, i delusi, coloro il cui futuro è incerto e che vivono l’inquietudine della povertà, delle persecuzioni, delle guerre, i tormenti della morte che incombe e la tortura delle lacrime di un figlio possano essere realmente un pezzo di questa cosa straordinaria che è il genere umano e non il sistematico oggetto di attenzioni la cui volgarità, disumanità, truculenza, violenza e la nauseante generalizzazione ed omologazione di ogni disperazione alla vergogna di alcuni, offende la dignità della nostra “millenaria civiltà cristiana”, sfregia la cultura della pietà di chi ha “conosciuto e raccolto ogni sofferenza e ogni sacrificio”, umilia la speranza di una società che affonda le proprie radici nella certezza della presenza di chi “conosce e raccoglie ogni anelito e ogni speranza” e chiede a ciascuno di noi di rendere “forti le nostre armi contro chiunque minacci” il sogno che abbiamo di rimanere esseri umani. Allora lasciate che concluda con “il sogno” di Martin Luther King pronunciate giusto il 28 agosto del 1963 a Washington “Con questa fede saremo in grado di strappare alla montagna della disperazione una pietra di speranza. Con questa fede saremo in grado di trasformare le stridenti discordie della nostra nazione in una bellissima sinfonia di fratellanza. Con questa fede saremo in grado di lavorare insieme, di pregare insieme, di lottare insieme, di andare insieme in carcere, di difendere insieme la libertà, sapendo che un giorno saremo liberi. Quello sarà il giorno in cui tutti i figli di Dio sapranno cantare con significati nuovi: paese mio, di te, dolce terra di libertà, di te io canto; terra dove morirono i miei padri, terra orgoglio del pellegrino, da ogni pendice di montagna risuoni la libertà.” Grazie alpini perché con quest’opera ci date la possibilità di meditare anche queste verità per costruire un presente più umano ed un futuro all’altezza dei sogni dei nostri padri. Buon cammino a tutti!