Il saluto del Sindaco al termine della Messa nel giorno della Festa Patronale.

Ci sono momenti in cui parlare è più complicato non  tanto perchè l’occasione sia diversa da altre ma perchè “cade” in un momento particolare. Questa è l’ultima volta che vi saluto durante la festa patronale come vostro Sindaco. Per qualcuno sarà una liberazione, per altri sarà indifferente, ad alcuni spiacerà un po’ o tanto. A me presenta una domanda che non è: “che Sindaco sei stato?”. A quella domanda mi sono risposto mille volte e la risposta non è subordinata a confronti o discussioni: “l’ho fatto al meglio delle mie possibilità, senza risparmiarmi e senza risparmiare nulla alla mia famiglia e ai miei collaboratori”. La domanda che mi rimane è: cos’è Bioglio? Cos’è questa comunità? In questi anni ho imparato che è una comunità con potenzialità enormi, con un bacino di energie straordinarie e con contraddizioni incredibili, con generosità commuoventi ed egoismi nauseanti, con desideri di condivisione entusiasmanti e individualismi insopportabili. Cosa augurarsi allora oggi e per il futuro? Cosa augurarvi, che rimanga come qualcosa di “vero” quando non potrò più ripeterlo, almeno in questo ruolo, tra pochi mesi? Vi auguro la “nostalgia del desiderio”, possa “tormentarvi” il sogno del bene, delle stelle. Possiate avere la nostalgia del cammino, del progettare insieme, del guardare a sfide grandi senza arrendervi davanti alle “buone ragioni del dubbio”, senza annegare nei “convincenti argomenti della paura”, senza farvi travolgere dalle “sicure ragioni della fatica”. Abbiate il coraggio di traguardi “alti” e ambiziosi, fuggite alla mediocrità, all’abitudine a volte ammantata dall’inganno della tradizione e delle cose buone che abbiamo sempre fatto. Poi vi auguro “la nausea del giudizio”. In questi anni ho imparato che c’è una verità che ci sfugge che è generalmente quella rispetto ai nostri comportamenti che trattiamo con ipocrita e maleodorante indulgenza e poi c’è una verità che si staglia nel cielo con la certezza delle sue arroganti condanne e che è la verità che fustiga chi ci sta attorno, spesso e soprattutto i fragili, i deboli, chi ci chiede uno sforzo, chi ci chiede di rinunciare alla nostra individualità che tanto veneriamo. Vi auguro “cuori innocenti” nel senso latino “cuori che non conoscono il male, che non nuocciono”. Non cuori illusi ma cuori, e lo dico a chi è qui dentro, che se appartengono all’uomo allora sono immagine di Dio, qualunque sia l’uomo o la donna che ci stanno davanti. Non comprenderlo connoterebbe  la nostra presenza qui oggi come rituale, vuota, ipocrita. Lasciate che vi auguri anche “il rigetto delle diffidenze”, i retropensieri, i ripiegamenti sulle certezze dei “porti amici”, la “difesa della razza” in salsa moderna, le “liste di attesa” a cui spesso condanniamo tutte le novità spesso abortendole e umiliandone le tensioni donative. Permettete che vi auguri “il desiderio dell’incontro”, non come “la condanna della presenza di un altro” diverso da noi ma come “attesa”, l’accoglienza spesso è rassegnazione, l’attesa è invece desiderio. Possa tormentarci il dubbio che la nostra presenza nella comunità possa essere condizionata da chi ci propone un incontro, perchè non è “dei nostri” o da chi lo anima, perchè “non è come faremmo noi”. Possiate avere il desiderio di ogni sguardo, possiate stringere ogni mano, possiate custodire il desiderio di condividere con ogni persona. Siate rivoluzionari, considerate monumenti da custodire e curare i bambini che non possono rimanere ai margini di ogni progettualità considerandoli rumorosi fastidi. Siate coraggiosi, ponete i giovani al centro delle dinamiche del futuro, non riduceteli a “prestatori di servizi” con la scusa che “devono farsi le ossa” per difendere i nostri spazi e i nostri ruoli, lasciategli strada! Siate determinati nell’immaginare la cura degli anziani non come una casa di risposo ad accesso libero ma come luogo di trasmissione di esperienze, racconti, insegnamenti, protagonismo. Amate questo paese, gli orizzonti, il cielo, il verde a volte ingombrante, il Campanile che indica l’alto tenendo i pieni piantati per terra, il cimitero che custodisce presenze vive e storie che continuano, questa Chiesa in cui ho visto modellarsi la mia esistenza nella quietitudine solenne dell’attesa di tante messe, questo tempio così bello in cui abbiamo visto nascere esistenze, unirsi nel segno dell’amore storie e cammini, affacciarsi sull’infinito persone cui abbiamo voluto bene. Qui dove continuano a risuonare antiche orazioni anche negli spazi vuoti occupati un tempo da volti ancora famigliari. Amatene le strade e percorretele per fare il viaggio più complesso in un’esistenza che non è partire per una missione, vistare un lebbrosario o prendere per mano un tossicodipendente bruciato dalla droga ma andare dal nostro vicino di casa per dirgli che è un pezzo della nostra famiglia. Amate gesti di rivoluzionari: perdonate e perdonatevi, incontrate e incontratevi, camminate, sognate, costruite, amate, sperate, fatelo insieme. Ecco, ho finito, mi rimane ancora una confessione in cui risuonano le parole di Don Lorenzo Milani. So di aver mancato in molto, tutti gli uomini mancano in qualcosa. Io ho mancato prima di tutto nell’amare Dio più di ogni altra cosa. Non so se sia un gran peccato ma ho voluto più bene a questo paese che a Lui e ho fatto mancare molto alla mia famiglia. La scusa che ho pronta però quando mi verrà chiesto conto di questo è che, infondo, aver amato e servito questo paese era l’unico modo di cui ero capace per amare Dio e servire la mia famiglia. Confiderò allora nella clemenza e nel perdono. A ciascuno, alla fine di tutto, auguro tanto bene, tutto il bene. Buon cammino, sempre.

Stefano